Che cos’è la selvicoltura naturalistica?

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Avete mai sentito parlare di selvicoltura naturalistica? In lingua inglese si chiama close to nature forestry, un’espressione ancora più chiara della locuzione italiana che potremmo tradurre con “silvicoltura vicina alla natura”. In sostanza questa disciplina promuove una gestione colturale che favorisce le dinamiche naturali del bosco, tentando di raggiungere gli obiettivi desiderati con il minimo intervento umano necessario per accelerare i processi che la natura farebbe da sola in tempi più lunghi.

La selvicoltura naturalistica considera la foresta come un ecosistema capace di auto-regolarsi e la gestisce come tale. Superando le divergenze tra i sistemi di gestione forestale ed ecologista della foresta, se applicata correttamente, la selvicoltura naturalistica renderebbe addirittura superflua la suddivisione dei terreni forestali in “terreni produttivi” e “riserve” o parchi nazionali.

Le parole chiave nel settore della selvicoltura naturalistica sono concetti come rinnovazione naturale, biodiversità, sostenibilità, multifunzionalità del bosco, utilizzo di specie autoctone. Un altro termine di cruciale importanza è “elasticità”, ovvero un atteggiamento flessibile nella scelta delle tecniche colturali che possono e devono essere diverse a seconda del caso. Tutto ciò presuppone però un’eccellente conoscenza delle caratteristiche del singolo bosco.

Tra le pratiche più raccomandate dalla selvicoltura naturalistica, possiamo citare una frequenza di diradamento del bosco di circa dieci anni, e a bassa intensità, al fine limitare l’ingresso di luce eccessiva, che potrebbe favorire un eccesso di proliferazione del sottobosco o la crescita di succhioni alla base del fusto. Le operazioni devono poi essere effettuate sempre in modo da evitare di compattare il terreno o di danneggiare gli alberi che rimarranno in piedi.

Per il rimboschimento solitamente vengono piantati soltanto alberi di specie autoctone, poiché quelle “esotiche” (in senso lato) rischiano di minacciare l’ecosistema. In alcuni casi è però consentita l’introduzione di specie esterne qualora portatrici di indubbi vantaggi (e soltanto dopo una serie esperimenti condotti sotto il profilo qualitativo e quantitativo).

La selvicoltura naturalistica può occuparsi anche della gestione della fauna erbivora, in particolare di quella domestica, con interventi per evitare il pascolo durante la fase della rigenerazione. In generale possiamo dire che la foresta non omogenea e antica è in continua rigenerazione, e quindi è difficile renderla compatibile con il pascolo. Non ammette neppure un’alta densità di fauna erbivora selvatica (principalmente cervidi).

Un ultimo aspetto interessante della selvicoltura naturalistica è quello economico: poiché richiede meno interventi da parte dell’uomo, la silvicoltura “vicina alla natura” ha costi di manodopera notevolmente più bassi.


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