Vertical farming: coltivare in verticale è una strada sostenibile?

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La popolazione mondiale sta crescendo a un ritmo tale da rendere indispensabile un ripensamento dei metodi agricoli tradizionali. Il vertical farming è una delle strade che si sta tentando di percorrere: trasferire le coltivazioni su edifici che si sviluppano in verticale. Il padre dell’idea è Dickson Despommier, docente in pensione della Columbia University di New York.

In varie zone del mondo stanno nascendo progetti pilota di questo tipo, che puntano soprattutto sull’utilizzo di agricoltura idroponica o aeroponica in una sorta di grattacielo-serra che sfrutti il terreno in maniera intensiva. In numerosi dibattiti e convegni sono allo studio varie proposte su come progettare gli edifici, quali dimensioni dare loro, come illuminarli, quali piante scegliere per la coltivazione. Le vertical farm nascono con l’obiettivo di riuscire a migliorare l’efficienza nella produzione del cibo, dando per scontato che i prodotti derivati siano sani, ecologici, rispettosi dell’ambiente – ovvero coltivati senza l’uso di pesticidi e fertilizzanti di sintesi.

Quali sono i vantaggi di questo tipo di agricoltura? Principalmente questi: si riduce il consumo di suolo, se ne evita il depauperamento e il dilavamento, si riutilizza più volte l’acqua, con risparmi che possono arrivare al 90%, si aumenta la produttività fino al 20%.

Quali sono gli svantaggi? L’investimento iniziale nell’edificio ha costi molto alti. La quantità di energia necessaria per far funzionare le vertical farm (per esempio con l’illuminazione artificiale) è anch’essa elevata. In teoria bisognerebbe limitarsi allo sfruttamento della luce naturale, ma la resa diminuirebbe di molto. Anche se si riuscisse a utilizzare solo energia da fonti rinnovabili, servirebbero decenni per pareggiare i conti – economici e ambientali – almeno allo stato attuale della tecnologia. In ogni caso la sostenibilità ambientale di questo sistema di coltivazioni è per il momento molto bassa.

Ferma restando l’assoluta necessità di continuare a esplorare anche questa strada, per il momento sarebbe meglio puntare sempre di più sull’agricoltura urbana (che include serre urbane, orti urbani, green-roof a uso alimentare, orti sul balcone ecc.). L’agricoltura periurbana dovrebbe invece sfruttare al massimo le aree ai limiti delle città (si tratta di decine di migliaia di ettari in tutta Italia). E se i terreni che si trovano vicino a strade o suoli contaminati non devono ovviamente essere utilizzati per coltivare piante commestibili, ma possono benissimo essere trasformati in impianti arborei per compensare le emissioni di CO2.


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