Come regolarsi con le scadenze degli alimenti per sprecare meno cibo

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Il percorso è questo: dal bancone del supermercato al cassonetto dell’immondizia, dopo un soggiorno più o meno prolungato nel frigorifero di casa nostra. Nel nostro paese, gli alimenti che ogni anno finiscono tra i rifiuti, senza nemmeno essere stati messi in tavola sono circa 18 milioni di tonnellate: l’8% del totale del cibo smerciato nel paese! Uno spreco medio di 450 euro l’anno a persona: milioni di euro che ogni anno se ne vanno in fumo e una quantità astronomica di sprechi, che sembrano essere davvero ineliminabili.

Per quanto ci sforziamo, infatti, pare non esistere cibo – dal pane ai latticini, dai prodotti in scatola ai surgelati – che riusciamo a consumare per intero, senza buttarne almeno una parte nella pattumiera. Sul fenomeno, che è una vera e propria malattia delle società occidentali, hanno indagato studiosi di ogni genere. A quanto dicono le ricerche, la maggior parte del cibo buttato è quello acquistato dai single o dalle famiglie poco numerose. E non è difficile capire il perché: la grande distribuzione tende a mettere sul mercato confezioni economiche in formato maxi, quindi non adatte ai nuclei familiari ridotti.

Per invertire il fenomeno è fondamentale appellarsi al buon senso e sapere interpretare le date di scadenza con un minimo di cognizione.

In generale, la normativa italiana prevede che, per i prodotti che si conservano meno di 3 mesi siano specificati giorno, mese e anno entro cui consumare l’alimento. Bastano il mese e l’anno per quelli che durano fino a 18 mesi e soltanto l’anno per quelli che si conservano di più di un anno e mezzo. Alla luce di questo dato, è più semplice capire come bisogna comportarsi: dando maggiore importanza alle scadenze degli alimenti freschi e un po’ meno a quelle dei cibi inscatolati, riusciremo già a eliminare gran parte degli sprechi di casa nostra.

La scadenza che bisogna rispettare assolutamente è quella del latte, perché, dopo pochi giorni dalla produzione può fare davvero male. Stesso discorso per le uova che scadono 28 giorni dopo la data di deposizione. Lo yogurt, invece, dura un mese, ma si può mangiare anche qualche giorno dopo la data indicata sul coperchio: i termini di legge impongono la stampigliatura di una data, ma i fermenti lattici restano vivi ancora per alcuni giorni successivi, anche se diminuiscono di numero.

Il discorso è molto diverso per tutti quei prodotti in cui la data di scadenza è associata alla scritta Da consumarsi preferibilmente entro… Per esempio la pasta, che – se conservata con cura – scade dopo due anni. In questo caso si può consumare anche un mese oltre la data indicata. Per i prodotti in scatola vale la stessa regola: il tonno, ad esempio, si deteriora in cinque anni, e non sarà velenoso anche qualche mese dopo la data indicata.

Ben vengano i Last Minute Market, che però non riguardano direttamente le famiglie, ma supermercati e istituzioni caritatevoli. Via libera ad altre soluzioni creative per una migliore conservazione degli alimenti e il loro riciclo fino all’ultima briciola. Sinceramente preferiremmo evitare di arrivare agli eccessi del freeganismo, un movimento nato negli USA per combattere in maniera radicale il consumismo alimentare: la filosofia dei freegan è nutrirsi esclusivamente del cibo che i grossi supermercati buttano via perché troppo vicino alla scadenza. Ognuno è libero di mangiare ciò che vuole, ma il buon senso induce a pensare che questo tipo di crociata possa includere il rischio di tralasciare le più elementari norme di igiene. A noi il compito di trovare una sana via di mezzo.


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