Barriere autostradali a pannelli fotovoltaici: le varie configurazioni

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L’idea è tanto semplice quanto geniale: sfruttare i 6000 chilometri della rete autostradale italiana (a cui potrebbero aggiungersi quelli di tangenziali, raccordi e superstrade) per produrre energia elettrica grazie a pannelli fotovoltaici di ultima generazione sistemati sulla superficie delle barriere centrali, i cosiddetti new jersey, gli spartitraffico in cemento molto pesanti che da qualche tempo a questa parte hanno sostituito i guardrail.

L’inventore del brevetto è italiano, si chiama Luciano Paoletti ed è stato ispirato da lunghi viaggi in autostrada in cui ha notato che queste zone già cementificate e inutilizzate potevano essere “redente” trasformandosi in “autostrade energetiche”.

Esistono varie tipologie di barriere fotovoltaiche:
* La più classica, adatte per le zone a soleggiamento medio o intenso, consiste nell’applicare i pannelli fotovoltaici sul lato esterno della barriera (come nella foto in alta).
* Per le zone di montagna o a basso soleggiamento, i pannelli solari vengono inseriti come una grondaia a V all’interno del new jersey. La superficie orizzontale sulla concavità viene coperta da una lastra di vetro o di plexiglas per evitare costi di manutenzione e pulizia, oltre che gli effetti di eventi atmosferici importanti come la grandine.
* Infine, una configurazione ulteriore posta al di sopra della barriera, che funge anche da schermo antiabbagliante per gli automobilisti nella guida notturna. In pratica, con la funzione che un tempo svolgevano le piante – poi abbandonate per via dei costi di manutenzione. Questa tipologia di pannelli è abbinabile alla prima citata per un raddoppiamento della superficie fotovoltaica.

I pannelli solari utilizzati non sono più quelli di prima generazione, al silicio mono- o poli-cristallino applicati su una struttura in vetro e alluminio – quindi non solo di difficile smaltimento, ma anche molto spessi e pericolosi per la sicurezza in caso di incidente. I nuovi pannelli fotovoltaici sono invece costituiti da celle in seleniuro di rame-indio-gallio (CIGS), sottilissimi (quindi non pericolosi nel caso di scontro) e possono essere stesi a mo’ di pellicola sui blocchi di cemento. Sono molto meno costosi e assai più semplici da smaltire.

Il gestore autostradale può scegliere come convogliare l’energia prodotta: trasportarla a lunga distanza o stoccarla in accumulatori all’interno delle barriere per poi utilizzarla nelle ore notte per l’illuminazione dei pannelli di segnalazione o dei LED di tracciatura del percorso che vanno a sostituire i catarifrangenti – molto meno utili perché funzionano ad abbagliamento passivo, cioè riflettono la luce solo quando vengono illuminati dai fari.

Insomma, come avrete capito si tratta di un brevetto innovativo, che consente un notevole taglio alla produzione di CO2, la sostituzione di molti campi fotovoltaici da destinare piuttosto alle colture agricole e una sorta di “riparazione” nei confronti dell’ambiente stesso mediante l’uso di zone già morte e non altrimenti sfruttabili.


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