Produzione di biogas e trattamento degli odori

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Biogas e trattamento odori - SoloEcologia (Florio, Imparato)di Ciro Florio, Claudio Imparato

Settembre 2015

La produzione di biogas (una miscela di vari gas composta principalmente da metano, anidride carbonica e anche idrogeno) attraverso il processo di digestione anaerobica e co-digestione anaerobica sta acquisendo un crescente interesse negli ultimi anni perché, nello scenario delle tecnologie per il trattamento dei rifiuti, si pone come una tecnologia promettente per il trattamento di scarti e rifiuti organici di varia natura e allo stesso tempo per la produzione di energia rinnovabile.

Nel processo di digestione anaerobica vari microorganismi degradano la sostanza organica in assenza di ossigeno (condizioni di anaerobiosi) attraverso quattro step principali:

  • Idrolisi, in cui le molecole complesse sono scisse in molecole più semplici e più facilmente accessibili ai microorganismi successivi:
  • Acidogenesi, i microorganismi utilizzano le molecole semplici derivanti dall’idrolisi come fonte organica e producono principalmente acidi grassi volatili;
  • Acetogenesi, dagli acidi grassi volatili si produce principalmente acido acetico;
  • Metanogenesi, produzione principalmente di metano e anidride carbonica.

Numerosi sono i substrati organici che possono essere destinati a digestione anaerobica (si parla di co-digestione quando nel bioreattore sono inseriti contemporaneamente più substrati organici): liquami zootecnici, scarti agro-industriali e di macellazione, fanghi di depurazione, frazione organica dei rifiuti solidi urbani; spesso si sente dibattere anche di colture energetiche dedicate (energy crop) e più recentemente di queste colture coltivate su terreni inquinati, ma questo è un argomento a parte che merita di essere approfondito in un altro articolo.

Per quanto riguarda i sopracitati rifiuti, è bene sottolineare che il rifiuto necessita di uno smaltimento e lo smaltimento ha un costo sia economico sia ambientale; in questo modo il rifiuto diventa una risorsa che può essere riutilizzata per la produzione di energia: si parla di materia prima secondaria.

I principali parametri impiantistici che permettono di classificare il processo sono:

  • Temperatura: solitamente il processo è operato in condizioni mesofili con una temperatura compresa tra 30 °C e 40 °C;
  • Fasi biologiche: unica o più bioreattori per i vari step del processo sopracitati);
  • Contenuto di solidi: processo secco, semi-secco e umido.

Con riferimento al parametro temperatura, è utile sapere che durante la digestione anaerobica l’attività metabolica dei microorganismi produce calore che può essere riutilizzato per riscaldare il bioreattore, senza fornire così un ulteriore input esterno. Questo concetto è importante perché meno input esterni ci sono in un processo più quest’ultimo potrebbe impattare meno negativamente sull’ambiente ed essere, quindi, sostenibile (si può effettuare un’analisi ambientale del tipo Life Cycle Assessment per conoscere l’impatto ambientale di un determinato processo nella sua interezza).

Per quanto riguarda gli utilizzi del Biogas, il metano prodotto dal processo di digestione anaerobica può essere immesso nella rete pubblica o utilizzato come biocarburante nelle automobili (dopo un trattamento di upgrading, cioè la rimozione dell’anidride carbonica per ottenere un Biogas ricco in biometano con un potere calorifico più elevato), oppure può essere bruciato come biocombustibile nei motori di cogenerazione per la produzione combinata di elettricità e calore (o anche di freddo nel caso della trigenerazione); quest’ultima è la tecnologia attualmente più utilizzata, perché permette di migliorare l’efficienza energetica.

Altro aspetto da non trascurare è che il digestato (materiale risultante dalla digestione anaerobica) può essere riutilizzato come ammendante e fertilizzante agricolo, tal quale (per alcuni substrati) o dopo un processo di biostabilizzazione, perché ricco di azoto, fosforo e potassio che conferiscono fertilità al suolo.

Però, la degradazione microbica dei substrati organici in condizioni anaerobiche può generare odori maleodoranti e nauseanti; anche per questo motivo (talvolta) i comitati locali di cittadini ostacolano la costruzione di nuovi impianti di Biogas. È necessario premettere che se l’impianto è ben costruito e perfettamente sigillato (le vasche di stoccaggio, i bioreattori, ecc.) l’emissione degli odori tipici della digestione anaerobica può essere trascurabile; in ogni caso, non sarebbe certo superiore ai cattivi odori generati dalla spazzatura lasciata in strada o nei bidoni per lungo tempo, purtroppo). Lo stesso problema può presentarsi anche negli impianti di depurazione delle acque reflue.

Una delle principali cause della presenza di cattivi odori nel Biogas è l’idrogeno solforato (o acido solfidrico, H2S, che ha il tipico odore di uova marce), che può anche causare danni nel post-trattamento o nell’uso del Biogas; inoltre, in funzione della concentrazione può avere vari effetti tossici sull’uomo. Generalmente, è difficile rimuovere selettivamente l’idrogeno solforato evitando la contemporanea emissione di diossido di zolfo, SO2 (che è irritante per le vie respiratorie e dal punto di vista ambientale è un inquinante atmosferico), durante il processo di purificazione del Biogas con una tecnologia altrettanto economico ed efficiente.

Attualmente esistono tecnologie per il trattamento dell’idrogeno solforato, come lo scrubbing, la biofiltrazione, l’ossidazione ad alta temperatura o l’adsorbimento, ma talvolta possono presentare degli svantaggi ambientali a causa degli elevati input esterni da fornire e dei sottoprodotti generati.

In questa prospettiva, il processo di fotocatalisi può rappresentare una tecnologia alternativa molto promettente. Un fotocatalizzatore è un materiale che favorisce la conversione di composti organici e inorganici in molecole più semplici e meno dannose, utilizzando la luce come fonte di energia; tra i metodi chimici disponibili per rimuovere le sostanze inquinanti dall’aria, reflui aeriformi e acqua, la fotocatalisi è uno dei più efficaci. I fotocatalizzatori eterogenei più utilizzati sono ossidi di metalli di transizione, in particolare il biossido di titanio (TiO2), a causa della sua disponibilità, basso costo, non tossicità e stabilità. I Ricercatori stanno lavorando per superare il principale svantaggio di questo materiale (il limitato utilizzo della luce solare, dovuto alla sua struttura elettronica).

Negli ultimi anni alcuni Gruppi di Ricerca, tra cui Portela et al. (2010), e in seguito Alonso-Tellez et al. (2012), hanno studiato l’ossidazione fotocatalitica di idrogeno solforato in fase gas in reattori con rivestimenti di TiO2 [1,2]. Sono stati ottenuti buoni risultati, ma si sono evidenziate anche problematiche, come il rilascio di diossido di zolfo (intermedio di reazione indesiderato) e la disattivazione del catalizzatore a causa della deposizione del solfato, il prodotto finale dell’ossidazione, oltre alla necessità di irradiazione ultravioletta per attivare il processo fotocatalitico. Una possibile soluzione è lo sviluppo di materiali ibridi a base di TiO2 con nuove proprietà, tali da sopperire a questi svantaggi. Uno studio recente (Liu et al. 2015), pubblicato su Fuel [3], ha indagato il potenziale di un ibrido TiO2/zeolite (le zeoliti sono minerali con una struttura cristallina microporosa e regolare caratterizzati da una grande quantità di volumi vuoti interni ai cristalli) sintetizzato per la rimozione dell’idrogeno solforato e la contemporanea cattura del diossido di zolfo. In questo studio, TiO2/zeolite ha mostrato la più alta efficienza di rimozione dell’idrogeno solforato con relativa bassa emissione di diossido di zolfo, rispetto all’utilizzo del solo TiO2 e al trattamento con sola zeolite, grazie alla combinazione di fotocatalisi su TiO2 e adsorbimento sulla superficie della zeolite. Lo studio afferma anche che la rigenerazione del catalizzatore ibrido può essere facilmente ottenuta mediante un lavaggio debolmente basico e successiva calcinazione.

I risultati di questa ricerca indicano che TiO2/zeolite è un ottimo esempio di materiale economicamente promettente, sostenibile e non tossico per l’eliminazione diretta dell’idrogeno solforato dal Biogas.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti scientifici si rimanda agli studi citati (vd. Bibliografia).

 

Bibliografia

[1]   R. Portela, S. Suárez, S.B. Rasmussen, N. Arconada, Y. Castro, A. Durán, P. Ávila, J.M. Coronado, B. Sánchez. Photocatalytic-based strategies for H2S elimination. Catalysis Today 151 (2010) 64–70

[2]   A. Alonso-Tellez, D. Robert, N. Keller, V. Keller. A parametric study of the UV-A photocatalytic oxidation of H2S over TiO2.  Applied Catalysis B: Environmental 115–116 (2012) 209–218

[3]   C. Liu, R. Zhang, S. Wei, J. Wang, Y. Liu, M. Li, R. Liu. Selective removal of H2S from biogas using a regenerable hybrid TiO2/zeolite composite. Fuel 157 (2015) 183–190


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